Cattedrale di San Zeno

L’aspetto attuale, nonostante modifiche intervenute nei secoli successivi, presenta un impianto basilicale a tre navate con cripta risalente al XII secolo. Una radicale trasformazione della parte absidale fu realizzata alla fine del Cinquecento con la costruzione della grande tribuna e del nuovo coro.

In Cattedrale si conservano importanti testimonianze del culto di San Jacopo (l’apostolo Giacomo il Maggiore), ad esempio l’altare argenteo di San Jacopo, capolavoro di oreficeria gotica realizzato a più riprese dal 1287 fino al XV secolo. L’altare si trova a metà della navata destra nella cappella del Crocifisso, dove è custodito anche lo straordinario reliquiario gotico di Lorenzo Ghiberti.

Il reliquiario racchiude un frammento osseo del santo apostolo fatto arrivare direttamente da Santiago di Compostela nel 1144 per volontà del santo vescovo di Pistoia Atto.

Il corpo di Atto è esposto in un’urna sopra l’altare nella cappella in fondo alla navata destra. Nella cappella, all’interno di un prezioso braccio-reliquiario del Trecento, si conserva anche una reliquia di San Zeno di Verona, titolare della Cattedrale.

Ai piedi del presbiterio è collocata un’antica croce dipinta opera di Coppo di Marcovaldo e del figlio Salerno (1274 circa). Sul fianco destro della Cattedrale, in prossimità dell’ingresso si trova il cenotafio gotico attribuito al senese Agostino di Giovanni (1336-1339) dedicato al poeta e giureconsulto Cino da Pistoia (1270-1336), amico di Dante e celebre giurista all’università di Bologna.

Perché la Cattedrale è intitolata a San Zeno?

Il culto di San Zeno a Pistoia è più antico di quello a San Jacopo. San Jacopo è il patrono della città e del Comune di Pistoia ma le sue reliquie sono arrivate nel 1145. La dedicazione a San Zeno risale, invece, a circa due secoli prima, quando Zeno fu evidentemente invocato per proteggere Pistoia da disastrose alluvioni.

San Zeno

San Zeno era nato in Africa, a Cesarea, e da qui aveva viaggiato e studiato in oriente, finchè non giunse a Verona, dove nel 362 clero e popolo lo elessero vescovo di quella diocesi. Da vescovo Zeno rivelò presto le sue qualità di pastore: con coraggiosa eloquenza fece fronte sia all’eresia ariana che al paganesimo restaurato dall’imperatore Giuliano.

Ma a Pistoia non sarebbe mai arrivato senza l’evento miracolo ricordato da Papa Gregorio Magno nei suoi Dialoghi; nel 589, circa due secoli dopo la sua morte, l’Adige straripò a Verona, inondando tutta la città; le acque raggiunsero anche la chiesa di San Zeno fino all’altezza delle finestre, ma davanti alla porta, che pure era spalancata, si fermarono «come un sodo muro, senza far danno nè all’edifizio, nè a chi v’era dentro».

Non c’è dunque da stupirsi che i pistoiesi «che per il sito del loro paese andavano frequentemente soggetti a simili flagelli» abbiano cominciato a raccomandarsi a questo santo così potente «sulle inondazioni e sulle fiumane» e gli abbiano intitolato la loro Cattedrale.

San Zeno, nella veste marmorea di Andrea Vaccà, resta insieme a Sant’Jacopo a proteggere Pistoia dall’alto della facciata del Duomo. Nell’archivio capitolare di Pistoia si conserva invece la più antica copia dei suoi Sermoni con cui aveva fatto fronte all’eresia di Ario e al paganesimo dell’imperatore Giuliano. (Maria Valbonesi)

Atto da Pistoia

Il vescovo Atto

Atto (+ 1153), vescovo e monaco a capo dell’ordine vallombrosano, che aveva una vasta rete di conoscenze con l’Europa e il papato intuì le potenzialità legate alla presenza della reliquia dell’apostolo e fece edificare subito una cappella in Cattedrale (distrutta nel 1786) con il vivo desiderio di tornare alla genuinità delle origini cristiane, ma anche per trovare una via di pacificazione con il neonato governo comunale.

L’arrivo della reliquia a Pistoia (1145) si inseriva in un più ampio quadro di rilancio religioso e culturale della città: la Chiesa manifestava il suo desiderio di rinnovamento recuperando, sulla scia di un’ispirazione pisano-lucchese, forme antiche e paleocristiane nelle grandi strutture basilicali della Cattedrale, della pieve di Sant’Andrea e della chiesa abbaziale di San Bartolomeo.

La memoria di Atto è segnalata in Cattedrale da alcuni elementi riassemblati dell’altare a lui dedicato, in particolare, dalle formelle gotiche inserite in un’incorniciatura seicentesca nella controfacciata. Qui Atto è raffigurato al centro affiancato da angelo; a destra è descritto l’Invio a Compostela di Tebaldo e Mediovillano per ricevere la reliquia, a sinistra il loro ritorno e consegna della cassetta al vescovo Atto.

Il santo vescovo riposa nella cappella in testata alla navata destra, detta anche di San Rocco, dove il corpo mummificato è custodito in un’urna sopra l’altare.

San Jacopo Apostolo

Giacomo era stato uno dei primi a seguire la chiamata di Gesù dopo Pietro e Andrea, insieme col fratello Giovanni (poi detto l’evangelista) -e che sua madre Maria Salome nutriva grandi ambizioni per i suoi due figli, tanto da aver chiesto a Cristo per loro un posto privilegiato nel futuro Regno. Si sapeva anche che i due “figli di Zebedeo”, insieme con Pietro, erano stati chiamati da Gesù in due particolarissime circostanze: la Trasfigurazione e la terribile veglia del Getsemani, durante la quale i tre si erano addormentati. Nonostante i limiti e le umane debolezze, essi però dovettero essere molto cari al Salvatore.

Dopo la sua morte sulla croce e la sua resurrezione, gli Atti degli Apostoli testimoniano, insieme col non sempre facile costituirsi della prima comunità di “Cristiani’, qualche altro particolare sulla vita e sul martirio di Giacomo di Zebedeo. Egli senza dubbio si trovava con Maria e con gli altri apostoli nel Cenacolo, quando si verificò la discesa dello Spirito Santo; era a Gerusalemme durante le persecuzioni scatenate da Erode Agrippa I contro i seguaci di Cristo, invisi ai Giudei, e fu il primo fra gli apostoli a subire il martirio mediante la decapitazione.

San Giacomo diventa Santiago

A Santiago di Compostela, divenuto fra X e XI secolo un importante centro di pellegrinaggio e il luogo di culto delle spoglie di San Giacomo Apostolo, verso gli inizi del secolo XII, quando già era in costruzione la grandiosa cattedrale destinata a rimpiazzare la chiesa precedente, il vescovo- poi arcivescovo Diego Gelmírez si preoccupava di accreditare ufficialmente una sola versione leggendaria, sfrondando le varianti più incredibili dalla rigogliosa fioritura agiografica iacopea. La leggenda accreditata dal potere episcopale compostellano fu trascritta e conservata nel testo principe per il culto e il pellegrinaggio iacopeo: il Codex Calixtinus.

Leggende sulla vita e il martirio

Nel I libro del Codex venne trascritta la Passio sancti lacobi, riguardante la vita e il martirio di Giacomo di Zebedeo, fino al trasporto del suo corpo per mare fino alle coste di Galizia.

Prima di essere decapitato, Giacomo aveva battezzato Josias, che l’aveva seguito nel martirio, dopo una lunga preghiera recitata dall’apostolo, nella quale si ricapitolava tutta la sua missione di predicatore del Vangelo.

Inginocchiatosi, l’apostolo era stato decapitato e il capo, rotolato fra le sue braccia levate al cielo, era rimasto fra di esse, nel corpo irrigidito, fino a sera. Al momento della mortesi era verificato un pauroso terremoto, accompagnato da cupi tuoni. La notte i discepoli avevano recuperato il corpo, ponendolo insieme col capo distaccato entro un involucro dì pelle di cervo e lo avevano trasportato per mare da Gerusalemme fino in Galizia, guidati da un angelo, Infine lo avevano seppellito dove poi sarebbe, stato fatto segno dì continua venerazione.

(Lucia Gai, tratto da “Le Opere e i Giorni”, anno IV, nn. 1-2, 2001)

Altare argenteo di San Jacopo

L’altare d’argento è un’opera complessa, monumentale, ricchissima di dettagli e contenuti costruita pezzo dopo pezzo nel corso di quasi due secoli. L’opera è pensata in un primo momento come arredo mobile, per accompagnare nella cappella i momenti più solenni.

Possiamo considerare l’altare d’argento come un grande atlante illustrato della storia della salvezza in cui trova spazio e risalto la figura di San Giacomo apostolo.

Paliotto a destra (Francesco Niccolai, Leonardo di Giovanni, 1361-1364): Storie della Genesi, dalla creazione di Adamo ed Eva, attraverso il Peccato originale, l’omicidio di Abele e il Diluvio, fino al sacrificio di Isacco. Nell’ultimo registro le storie bibliche sono concluse dall’incoronazione regale di Davide, dalla cui discendenza nascerà Gesù. Seguono le storie della Vergine Maria (tratte da testi non canonici) che si riallacciano alle scene cristologiche raccontate sul paliotto frontale.

Paliotto Centrale (Andrea di Jacopo d’Ognibene, 1315). Da sinistra in alto le scene vanno dall’Annunciazione fino all’Adorazione dei Re Magi; nel secondo, dopo la Strage degli innocenti, si descrivono le Storie della Passione di Cristo: la Cattura nell’orto degli ulivi, al centro la Crocifissione, l’apparizione del risorto agli apostoli e l’incredulità di Tommaso. Nel terzo registro si raffigura l’Ascensione al Cielo e tre storie di Giacomo apostolo (predicazione, processo e testimonianza dinanzi a Erode, Martirio e glorificazione).

Paliotto a sinistra: Le Storie di Giacomo Apostolo (Leonardo di Giovanni, 1367-1371) si soffermano nelle scene centrali dei tre registri sul tema della passione (il calice che berranno Giacomo e Giovanni; la cattura dell’apostolo; il suo martirio). L’ultima scena presenta il corpo di Giacomo su una nave senza nocchiero, per ricordare la traslazione del corpo in Galizia a Santiago de Compostela.

Al centro del dossale: San Giacomo apostolo in trono (Giglio Pisano, 1353).

Ai lati: Vergine con il Bambino e apostoli (Andrea di Jacopo d’Ognibene, 1287) e santi legati alla Chiesa pistoiese realizzati in tempi diversi (Sant’Atto, Sant’Eulalia, San Zeno, Santa Maria di Salome…)

Sommità del dossale: Cori degli angeli e Cristo benedicente (Onofrio Buti, Andrea di Pietro Braccini, 1395-1398). Il canto dei cori celesti risuona nella sommità dell’altare, affaccio sulla gloria celeste a anticipazione di quella futura, quando il Signore Gesù tornerà per ricapitolare ogni cosa. Il gesto benedicente e sospeso del Cristo nella Mandorla ben rende l’idea di quell’attimo finale in cui tutto troverà la sua composizione definitiva.

Ai lati del dossale, a destra e sinistra: Profeti e dottori della Chiesa, realizzati dall’inizio fino quasi alla metà del XV secolo, completano e arricchiscono i contenuti teologici dell’altare le figure. Tra di esse, a sinistra, due profeti (Geremia e Isaia) e Sant’Agostino e Giovanni Evangelista, sono opera di Filippo Brunelleschi.

Reliquiario di San Jacopo

Dove si trovano i resti del santo apostolo

Il reliquiario, attribuito a Lorenzo Ghiberti, è in argento dorato e si compone di tre teche: in basso si trova quella più grande che custodisce diverse reliquie di santi non più identificabili per i danni ricevuti in occasione di un incendio del 1588, la teca al centro contiene un osso dell’anca della madre di Giacomo il Maggiore Maria Salome che, giunta a Pistoia nel 1407, potrebbe aver suggerito la realizzazione dell’intero reliquiario. Il frammento osseo di San Giacomo apostolo che il vescovo Atto fece arrivare a Pistoia da Santiago di Compostella nel 1145, è invece conservato nella teca più alta a forma di tempietto rinascimentale realizzata all’inizio del XVII secolo.

Perché venerare una reliquia?

La venerazione dei resti mortali di un santo si giustifica nella dignità propria del corpo umano, tempio vivo sulla terra dello Spirito Santo e strumento delle virtù eroiche vissute dal santo e riconosciute ufficialmente dalla Chiesa. Il culto rivolto alle reliquie diventa occasione per sperimentare l’efficacia della “comunione dei santi.

 

Madonna delle Porrine

Guarire con l’aiuto di Maria

La Madonna delle Porrine è una delle più antiche immagini miracolose venerate a Pistoia. La devozione risale al XII secolo quando una Madonna con il Bambino era effigiata sull’esterno della parete della Cattedrale affacciata su Piazza del Duomo. L’effigie era ritenuta miracolosa e risanatrice da infezioni virali della pelle (dette volgarmente ‘porri’). La nascita del culto avviò alla metà del XII secolo, ma trovò ulteriori momenti di ripresa tra la fine del Duecento e del secolo successivo. L’affresco fu “rivolto” verso l’interno della Cattedrale tagliando la porzione di muro su cui insisteva e fu collocato entro un altare nel 1624. Le quattro “P” che si leggono sul fronte della mensa d’altare significano: Populus Pistoriensis Pietate Posuit (il popolo pistoiese pose per devozione). L’immagine, che forse sostituisce un affresco più antico, risale alla metà del XIV secolo.

Cappella di Piazza

Nella testata della navata sinistra si apre la cappella del SS. Sacramento, già chiesino a sé stante dedicato alla Madonna di Piazza commissionato dal vescovo Donato de’ Medici. Qui è collocata una tavola raffigurante la Vergine col Bambino tra i santi Donato e Giovanni Battista opera di Andrea del Verrocchio e Lorenzo di Credi (1474-1479 circa).

Monumento al Cardinale Forteguerri

Ad Andrea del Verrocchio spetta, nonostante integrazioni e notevoli trasformazioni, il monumento a Niccolò Forteguerri collocato in cima alla navata sinistra. Sono opera dello scultore fiorentino il Redentore benedicente e gli angeli che sorreggono la mandorla in cui è contenuto. Sue anche le due figure femminili che rappresentano la Fede e la Speranza. Il Forteguerri era stato un personaggio di primo piano della corte pontificia, benemerito a Pistoia per aver fondato la “Sapienza”, istituto per l’istruzione primaria dei giovani meno abbienti. I suoi resti mortali si trovano nella basilica di Santa Cecilia a Roma, della quale era titolare come cardinale.